Comprendere la seconda modernità

Quattro passi intorno all’idea del cambiamento; Un mondo immenso, immaginifico, beffardamente aperto si è offerto, fantastico, davanti a noi, catturando gli sguardi di stupore. L’antico mondo ci è sembrato ad un tratto lontano, impacciato ed inutile, come fosse diventato di colpo un “Loreto impagliato”, come le tante cose di pessimo gusto che piacevano a Carlotta, l’amica di nonna Speranza. Poi un bel giorno ti ritrovi a fare i conti con un essere infinitesimo di cui nulla sapevi. Cominci allora a desiderare le cose del vecchio mondo, l’odore della pagnotta avvolta nella carta che aveva il colore dell’argilla e i “ziti” lunghi senza i fogli di cellophane. Ricominci, chissà perché, a rivedere il tuo vecchio studio di architetto, immerso nel caotico disordine delle antiche botteghe. Rivuoi sul tuo tavolo le boccette di inchiostro di china, i pastelli “Giotto”, le grafiti affilate come aculei, il rotolo di carta burro. La solitudine dell’io resto a casa ti fa pensare che qualcosa non torni in questo mondo iperconnesso. Pensi che il covid-19 sia diventato uno spartiacque, macroscopico questa volta, e non più infinitamente piccolo. Un segno indelebile tra le perfide illusioni del mondo globalizzato e quello possibile da concepire nell’armonia, nell’equilibrio ancestrale delle cose. Intanto le tronfie retoriche del dopo Covid-19 incominciano a spandere dappertutto le zuccherose spore. Gli scenari urbani si tingono di verde intenso e il mare non potrà che essere di un bel blu cobalto. L’economia sarà rigorosamente sostenibile e circolare. Butterai via la carta su cui hai stampato le fatture che non ti sono state pagate per via della crisi, ma ti ritornerà presto sotto forma di scatola Amazon, dov’è impacchettato il libro che hai comprato: “Dieci consigli utili per fare soldi durante le crisi”. Opera di un buontempone economista, in crisi pure lui. La retorica del cambiamento produce una profusione di parole: la costruzione è adesso un organismo vivente, non ha più quattro facciate ma quarantaquattro. La casa non è più quella delle due camere, bagno, tinello e cucina, ma è un guscio poroso flessibile che si ispira alle forme naturali.

1.1 Comprendere i significati di interazione, organizzazione e società; Gli studi sociologici contemporanei (Bauman ed altri) (1) ci raccontano dello stato di incertezza delle nostre società. Le paure sottese, i disagi urbani, individuali e di gruppo, descrivono di per sé le categorie essenziali, molto complesse, della “seconda modernità” (2) (Ulrich Beck). I paradossi critici delle città, intrecciati con gli inarrestabili processi dell’economia globale, al momento senza governo, hanno reso necessarie alcune riflessioni sui significati propri del progetto urbano. Approfondire i temi che ci riguardano: forma della città, consumo del suolo, significato dell’architettura, sistemi della mobilità sostenibile, genererà nel prossimo futuro, probabilmente, forti ripensamenti progettuali che incideranno inevitabilmente sui processi metodologici e configurativi dei Piani urbani.
Il rischio dell’affabulazione dei linguaggi potrebbe, però, farci perdere gli orientamenti certi della nostra disciplina. In questo clima di incertezza sarà utile, forse, fare i conti con il significato odierno della città e dunque tentare una interpretazione plausibile del disegno urbano. La configurazione dei sistemi sociali non dipendono dagli uomini, come coscienza singola, ma si intrecciano con gli oggetti della comunicazione (coincidente con la struttura del linguaggio). Luhamann (3) ha definito il sistema in cui viviamo (la città) con tre sub-insiemi: Interazione, organizzazione, società. In questo clima, l’attuale e ricorrente mantra della rigenerazione urbana si rivelerà di per sé insufficiente, rendendo puerile il concetto di una vaga e presunta bellezza, normata ed automaticamente applicabile. La crisi della modernità, dunque, confina anche con il malessere delle idee, se non delle pure idiozie. L’Italia nel frattempo ha preferito essere in bilico tra i due opposti concetti (innovazione e conservazione), limitandosi ad osservare da lontano le trasformazioni, a volte controverse, delle città europee. Legittimo è chiedersi, adesso, se in Italia sia giunto il momento delle visioni credibili, dando così avvio alla costruzione condivisa e argomentata della  città contemporanea, seppellendo per sempre il fumoso concetto del dov’era e com’era e ricordando che la nostra cultura (nei tempi d’oro) è stata un esempio virtuoso di sincretismo ed innovazione. La condizione possibile per incominciare è, probabilmente, la definitiva rinuncia al diffuso e sterile conformismo progettuale che si interseca con la nota ed inadeguata legislazione tecnica dell’architettura e dell’urbanistica e con le stucchevoli “imposizioni” delle sovrintendenze che sembrano ancora alludere alla conservazione di una bellezza perduta, convinta che ormai non sia più riproducibile.

1/2 La rigenerazione plausibile della città; La città odierna è il luogo della finzione, delle maldestre raffigurazioni, rappresentate nell’ombra di un passato remoto, di ciò che era una volta. La città, così come oggi si configura, è in massima parte il residuo rugginoso delle dismesse funzioni che in passato l’hanno resa possibile. Le ricorrenti e apparenti funzioni d’oggi sono perlopiù gesti di una goffa teatralità urbana, tra simboli e ritualità evocative per far sembrare verosimile ciò che è definitivamente morto (4). Possiamo ancora configurare, dobbiamo chiederci, senza alcun imbarazzo, la nuova città con gli strumenti urbani (tipologici e morfologici) della cultura barocca? I boulevard, la passeggiata sul sedime delle antiche mura, i giardini pubblici, capisaldi tematici di una datata tecnica urbana della città costruita, sono le stimmate, i “materiali” propri delle città borghesi, rimodellate dalle prime rivoluzioni industriali, tra XVIII e XIX secolo.  I processi dell’economia globalizzata hanno mutato i ruoli originari delle città. Le ragioni e i significati fondativi dei tessuti  urbani hanno perso negli ultimi decenni quei precipui caratteri tipo-morfologici che ne giustificavano l’esistenza nella rete economica dei territori. In questo quadro molte città sono diventate soltanto ombre riflesse di antiche ragioni insediative, ormai mutate o inesistenti. Le antiche funzioni hanno così lasciato il posto alle  vaghe promesse di futuro, tra roboanti enunciati à la page  e allusivi  neologismi: smart cities, green city, città foresta, gateway city e tanto altro.         Studiare il significato di relazione, cercare cioè le componenti logiche di un insieme è la condizione primaria, ineludibile, per comprendere, o tentare di farlo, le ragioni (evidenti o sottese) degli organismi urbani e territoriali. In questo quadro, probabilmente, noi architetti, dovremmo far ricorso all’entanglement quantistico (oppure correlazione quantistica) che è in grado di determinare probabili condizioni sullo stato quantico di un sistema, sapendo che quest’ultimo è spiegabile (misurabile) solo se è correlato con gli altri, di medesimo rango o di grado superiore. Solo dalla sovrapposizione di più sistemi, infatti, risulta possibile la conoscenza e la misurazione di un singolo fenomeno osservabile che ci aiuterà nel medesimo tempo a comprendere il valore delle variegate parti. Abbiamo molto da imparare da Paul Dirac (5) a proposito dell’equazione d’onda che descrive, relativisticamente, l’invariante del moto dei cosiddetti fermioni. Le interessanti ragioni della fisica quantistica che indagano la struttura complessa dell’universo (materia, tempo, spazio, movimento, luce ed energia), potrebbero essere replicate nelle nostre discipline, offrendoci così, forse inaspettatamente, alcune riflessioni metodologiche nell’ambito della progettazione urbana a piccola e a grande scala.

1.3 Metodo e anarchia; La promessa di futuro si intreccia con le nostre incertezze, con l’estrema vaghezza delle ipotesi a cui siamo costretti ad affiancare esiti non dimostrabili. La scienza è teoria confutabile, pensiero ragionevole e razionalmente critico. Paul Karl Feyerabend (6) sosteneva che il concetto metodico sia nella sostanza una mera prescrizione impositiva, tale da limitare le intuizioni degli scienziati, ovvero frenando nei fatti il progresso della scienza. Meglio dunque una tendenza “all’anarchismo epistemologico”. La metafisica, al contrario, è percepibile soltanto dentro statuti inconfutabili e inderogabili. La ragione dovrà essere utilizzata, dunque, per criticare le teorie prese ad esame e non per legittimarle come verità incontrovertibili.  Thomas Kuhn (7) dirà, a tale proposito, che l’avvicendarsi delle teorie scientifiche non è caratterizzato da un andamento lineare e rigoroso, ovvero una progressione tra le regole correnti. Sarà invece la radicalizzazione dei paradigmi delle diverse comunità scientifiche ad imprimere le condizioni per le nuove conoscenze. L’energia si genera “per squilibrio”, dirà Emilio Rodriguez Almeida, e che se dovessimo sempre giurare pedissequamente in verba magistri, il ritmo della nostra progressione sarebbe praticamente nullo.  Mi sono sempre chiesto se le affascinanti tesi di Paul Karl Feyerabend abbiano avuto a che fare, in qualche modo, con le nostre discipline: l’urbanistica, l’architettura, il design e le arti visive in genere. I caratteri di quelle tesi nella storia evolutiva  delle città sembrano intrecciarsi con le attraenti fenomenologie della casualità. Oggi dobbiamo chiederci se l’anarchia-metodologica, ossimoro perfetto per comprendere la reale portata delle scelte urbane da mettere in campo, possa contribuire o meno alla risoluzione degli immani problemi della città contemporanea. Dobbiamo chiederci, in buona sostanza, se sia lecito intrecciare le scelte urbane con le epistemologie della pianificazione strutturata oppure con i paradigmi dell’imprevedibile.                                                                                                                   

1/4 Progettare la città che verrà;  I paesaggi che abbiamo ereditato dalla storia passata non sono il risultato di azioni etiche coscienti, ma la configurazione tipo-morfologica dei processi economici, intesi come ineludibili relazioni antropiche dei territori. L’approccio etico per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio ha le sue radici nell’ottocento (attraverserà il neoclassicismo e il romanticismo). Henry David Thoreau (8), Jacob Burckhardt (9) saranno gli autorevoli antesignani dell’estetica del paesaggio, concepita come fenomeno etico della coscienza in cui far vivere la condizione di sentimento, di bellezza e di gusto.  L’attuale natura complessa delle fenomenologie territoriali ci impone, però, un diverso approccio percettivo del sistema paesaggio (10).  Il benessere delle città future implicherà l’elaborazione di una adeguata pianificazione di sviluppo territoriale (Strategic Planning), fondata sulla “costruzione, multidisciplinare, dei paradigmi reticolari”. Sistemi connettivi virtuosi, capaci di incidere  sul mutuo rafforzamento funzionale dei distretti urbani, contigui e non, interagenti nei variegati territori. Ciò significherà progettare e implementare modelli insediativi, fondati sulla complementarità strategica delle variegate componenti (naturali, agricole e produttive) del macro sistema territoriale, rafforzando le peculiarità specialistiche e storiche dei sub-sistemi. Indispensabile sarà il progetto di una moderna rete transcalare della mobilità, individuando le gerarchie di specializzazione dei poli primari e secondari e promuovendo l’innovazione tecnologica delle strutture produttive. I processi necrotici della nostre città sono ormai evidenti, ma  pur  continuando a produrre sui tessuti urbani ferite purulente, forse insanabili, sembrano non essere  ancora sufficienti per innescare le auspicabili inversioni di tendenza, ovvero l’avvio di progetti lungimiranti e condivisi. Prevale, invece, una discussione parossistica, a volte ideologica, preferendo ancora riproporre o rimodulare i modelli di pianificazione intraurbana dello scorso secolo, incardinati sui processi di  espansione fisica dei tessuti urbani, sui cosiddetti “diritti acquisiti” e sulla distribuzione (standard) dei coefficienti volumetrici. Il nostro Paese, intanto, sembra ancora essere in perenne attesa, celando (forse) la propria incapacità di progettare il futuro. In questo scenario si contrappongono due pensieri. Il primo produrrà la retorica dell’identificazione e dell’appartenenza che implica l’atavico patto di necessità, proprio dei sistemi arcaici, fondati sulle piccole comunità di individui. Condizioni socio-economiche, oggi, inesistenti o marginali. Il secondo tenderà, invece, ad introdurre  nel corpo urbano antidoti efficaci, in grado di  riadattarlo alle nuove realtà, alle diverse relazioni collettive che le società contemporanee impongono. Sullo sfondo vi sarà l’immagine di un’arcaica e perduta bellezza che sarà indispensabile ri-conoscere, spiegandone le opportune ragioni.  La sfida che siamo obbligati ad intraprendere è la messa a punto di un progetto argomentato, capace di coniugare la complessità della società che viviamo, le molteplicità  del pensiero moderno, la struttura della nuova urbanità e l’idea di una possibile e condivisa bellezza, mettendo da parte le note e stucchevoli retoriche. Più utile sarà, invece, la comprensione dei sistemi logici, ovvero la messa a punto del progetto consapevole dell’architettura e degli organismi urbani.

Note, (1) Bauman (La società dell’incertezza, Bologna, il Mulino,1999);  Giddens (autore di The Consequences of Modernity, 1990, ma anche sociologo noto al grande pubblico per il neologismo la “terza via”, sperimentato nelle politiche di Tony Blair 1990);  (2) Ulrich Beck, Edgar Grande, L’Europa cosmopolita, 2006). La società del rischio. Verso una seconda modernità, Ulrich Beck, 1986, edizione italiana Carocci Editore, 2000;  (3)Luhmann (Sociologia del rischio, 1991); Castel (L’Insécurité sociale: qu’est-ce qu’être protégé? , Éd. du Seuil, 2003);  (4) “La città generica”, Rem Koolhaas;  (5) L’uomo più strano del mondo. Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti / Traduzione Frédéric Leva e Andrea Villa / Milano, Raffaello Cortina editore, 2013; (6) P. K. Feyerabend La scienza in una società libera, Milano, Feltrinelli 1981;  (7)Thomas Kuhn, The essential tension. Selected studies in scientific tradition and change, Chicago University Press, 1977 Chicago; La tensione essenziale. Cambiamenti  e continuità nella scienza / Torino, 1985,  Einaudi.   (8) Henry David Thoreau,(1817 1862) filosofo ecologista, sostenitore della disobbedienza civile;   (9) Jacob Burckhardt, storico svizzero, (1818 -189)  Aut. de La civiltà del Rinascimento in Italia (1860).   (10) La Convenzione Europea del Paesaggio, infatti, nel documento sottoscritto il 19 luglio 2000 (salone dei Cinquecento / Palazzo Vecchio a Firenze) dal Comitato dei Ministri della Cultura e dell’Ambiente del Consiglio d’Europa, stigmatizza un diverso approccio percettivo.  Il documento, firmato dai ventisette Stati della Comunità Europea, è stato ratificato però soltanto da dieci, tra cui l’Italia nell’anno 2006. Nel primo capitolo, articolo 1 / lettera a, si afferma, infatti, che il “ Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.

Gerardo Manca architetto | Puglia, 11 agosto 1947; Eclettica è la sua attività professionale: architettura, industrial design, progettazione dei giardini, pittura, illustrazione, fotografia, art direction e comunicazione visiva. Nei primi anni settanta firma le sue prime opere di design e di architettura degli interni. Nel 1970 gli è stato assegnato il primo premio del concorso nazionale di pittura: il Subbio (Rho / Milano). Nel 1975 è stato selezionato per l’esposizione della X Quadriennale d’Arte di Roma:  la Nuova Generazione. È autore di vari sistemi costruttivi, prefabbricati, in legno e acciaio. Ha progettato varie unità residenziali, tra le quali: Casa T sulla via Appia a Matera, 1994; Casa FT al borgo La Martella / Matera 1999 / 2000; Casa MM in agro di Monopoli (Bari), 2012. È stato autore di alcuni articoli divulgativi, variamente pubblicati, sui temi dell’architettura e della progettazione urbana. Per la decima mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, “Città di Pietra (2006), un suo progetto è stato selezionato per il recupero dell’area urbana di Punta Perotti / Bari (opera in catalogo). Bibliografia: “X Quadriennale la nuova generazione”, De Luca editore / Roma, 1975; “Città di pietra, Cities of stone” / X Mostra Internazionale di Architettura, Marsilio editori, Venezia 2006; “Movimenti Artistico-Culturali in terra di Bari, 1950/2000, Saverio Monno / edizioni del Sud, Bari 2011. Quaderni Pianifica T.U. 2014/2017 /Edizioni dell’Ordine degli Architetti (APPC) dell’Area metropolitana di Bari. Info: 333 3614390 | gerardomanca@tiscali.it

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