A distanza di circa venti giorni dalla conclusione dell’ultima edizione del Salone del Mobile di Milano, dopo aver girato per la città stracolma di eventi, persone, installazioni (molte anche del tutto inutili e scontate), visto tanto, anche troppo, come ormai accade in questo evento, le mie note di riflessione descrivono la sensazione e le atmosfere, le percezioni e alcuni confronti.
Intanto i numeri sono di nuovo quelli da capogiro del Salone e Fuori Salone evento clou: 15% di visitatori in più, e dunque grande successo per la 61° edizione della Fiera di settore che porta a Milano un formidabile indotto economico, e che serve a gonfiare ancora di più un mercato già abbastanza drogato da aumenti, esagerati e ingiustificati. Nei sei giorni di questa edizione, ufficialmente sono state 307 mila le presenze, ovviamente di più rispetto al 2022. Sono stati soprattutto gli stranieri, a popolare Milano e la Fiera, da 181 Paesi, con il 65% dei buyers e degli operatori di settore. Naturalmente si è sentito molto “parlare” cinese, e poi il temibile concorrente tedesco forse preoccupato della ripresa di Milano che sottrae spazio a Francoforte, vi erano tanti francesi, americani, con una sempre più nutrita la pattuglia di Spagna e molte presenze dal Sud America, Brasile in testa.
Brera Design District, è il quartiere che si piazza in pole, con 535 espositori, 187 showroom di cui ben 118 permanenti, divenuto ormai centro indiscusso della “città del Mobile” e del Fuorisalone. Ma, girando per i padiglioni, in fiera, e poi in città, davvero pochissime sono le nuove vere idee e i nuovi prodotti, mentre “fa luce” al Salone, il ritrovato Euroluce pieno di novità, qui originali e di innovazione tecnologica. Del resto, lo ripetiamo da tempo, non è possibile sfornare ogni anno vere novità se non inseguendo onde di moda, come ormai si assiste, per esempio, al ripetersi -abbastanza noioso e scontato- di divani, di tutte le marche e con le medesime forme, e un utilizzo esasperato di tessuti bouclè!
Mai possibile che la produzione, per fortuna non tutta, segue e non detta tendenza? In questo caso possono, un divano e il suo tessuto, per nulla originale, diventare l’unica novità del settore del mobile? Crediamo di no, anzi pensiamo sia questa una china rischiosa e una corsa a chi copia meglio e soddisfa meglio le richieste di un certo mercato, sempre più verso l’alta fascia e sempre meno per un Design davvero capace di entrare nelle case di molti, se non di tutti.
Tuttavia, ci chiediamo se sia davvero difficile immaginare si possa -e si debba- cambiare abitudini, da quelle consolidate? Il Salone del Mobile ha ripreso il suo corso naturale come prima della pandemia (ma davvero sarà il suo corso “naturale”?), ovvero la quantità enorme di prodotti (che definire nuovi sarebbe davvero arduo!) senza nessuna vera novità, tranne come sempre poche eccezioni viste in fiera e fuori dalla fiera. Ma può il Salone e con esso il fuori Salone (come scriviamo da tempo) diventare il luogo dove si presenta ogni qualsiasi cosa ambisce (o dovrei dire ha la presunzione di ambire) ad essere “originale”? Diciamo che ormai il Salone serve soprattutto alle aziende per testare il grado di interesse dei clienti verso le aziende, e ad alimentare il vorticoso giro di agenzie e uffici stampa e comunicazione che fanno a gara a mandarti inviti e comunicati, infine a dare a molti giovani (e non solo) l’illusione che aver presentato un pezzo, aver concretizzato un’idea sia l’inizio di una carriera nel modo del design.
Nell’ubriacatura di forme, modelli, idee non ci è sembrato intravedere davvero niente di così originale da doversi soffermare a lungo, considerando inoltre che in una settimana è ormai impossibile riuscire a vedere nemmeno la metà delle cose esposte, quindi serve fare selezione, ma spesso questo comporta anche di poter perdere qualcosa che, al contrario, meriterebbe di essere visto, come per il caso dell’Ex Macello, dove Alcova ha organizzato una super collettiva di giovani sperimentatori, alcuni davvero interessanti, ma più per la performance espositiva, in un luogo affascinante come solo può essere una rovina industriale milanese, che non per il solo prodotto.
La kermesse annuale di Interni, con tutta l’energia della direttrice Gilda Boiardi, segna il passo da tempo, e confesso che poche sole cose mi hanno davvero incuriosito: le “piante” artificiali di Carmelo Zappulla, oggetti progettati e ad avanzato tenore ecologico-tecnologico, e la bella, poetica installazione “Studio nomade di artista, progettata da Studio GUM, di Ragusa, per il bravissimo artista Sergio Fiorentino, accompagnata da un catalogo d’eccezione dell’editore GiustoLibri. Recita, la quarta di copertina del volume “Muovendo dalla citazione di Ugo La Pietra “Essere ovunque a casa propria” nasce l’idea di uno “Studio Nomade d’Artista”, uno spazio effimero ma compiuto, essenziale ed evocativo, contenitore e contenuto delle opere dell’artista Sergio Fiorentino… grazie al progetto di Studio Gum, che mette in scena l’immaginario poetico di Fiorentino. Dipinti, sculture ed oggetti sospesi in un luogo onirico, dove acqua e sacro, blu e oro sono motivo ricorrente: un incontro tra mondo fisico e spirituale, evocativo di iconografie classiche della cultura e della storia siciliana. Un viaggio immaginario raccontato dalla fotografa Rosita Gia nel libro “Acqua e Oro”. Apprezzabile, sempre per Interni, il progetto di Andrea Boschetti, “A Theater to Save the Planet”, una micro-architettura di containers, sotto forma di teatro narrante, per divulgare storie e valori sulla sostenibilità, la solidarietà e l’innovazione responsabile, mentre Benedetta Tagliabue si diverte e ci incuriosisce con una installazione, realizzata con l’azienda catalana Roca, in legno, laterizio e ceramica, a costruire un piccolo padiglione che offre un viaggio multisensoriale nella natura e nella tradizione costruttiva mediterranea.
In fiera, tra i padiglioni esuberanti la ritrovata frequentazione, Molteni ostenta una casa in stile semi mediterraneo, con pini e arbusti profumati, progettato da Van Duysen, Art Director del brand, che offre nella sua grandiosità ed estensione la ricca gamma di prodotti del Moderno/contemporaneo/classico che si rivolge ad un mercato molto preciso, di alta fascia che ama il Made in Italy e gli importanti pezzi magistrali, di Ponti soprattutto, che Molteni ha nel suo catalogo. Non lontano Arper, marchio cui guardo sempre con interesse per la capacità di essere sobriamente originale e coerente, oppone alla mole costruita di Molteni, i veli di un allestimento che replica, con intelligenza e sostenibilità, quello dello scorso anno: velari bianchi tra i quali muoversi e sfiorare, scoprendo ambienti e novità. Tra queste, l’originale sistema di sedute Ralik, disegnato Ichiro Iwasaki, quest’anno, sedie, si tratta di pouf e panche modulari, che possono essere utilizzate singolarmente o combinate fra loro per creare differenti soluzioni formali e cromatiche. Tavolini complementari aggiungono alle configurazioni struttura e superfici per lavorare o rilassarsi. Ralik desidera celebrare la fluidità degli spazi di vita contemporanei e la ritrovata, necessaria, bellezza dinamica e adattabile. Sono qui, quasi tutti i brand, tra i quali anche Kartell e la sfilata dei suoi magnifici oggetti, in cui la plastica è protagonista, con le nuove sedute riciclate, e poi Zanotta, dove domina il giallo e soprattutto le riedizioni, da poco sotto la nuova proprietà, ovvero il fondo americano che ha acquistato già Cassina, e che lascia presagire che la sorte di tante aziende italiane, di prestigio, del Design e non solo, sia ormai questa. Tranne, per esempio, Arflex che resiste nella sua italianità, e che offre al pubblico alcune riedizioni del geniale Mario Marenco e pezzi nuovi mixati con classici, come gli intramontabili Strip di Cini Boeri, e la bellissima poltrona di Erberto Carboni, con una finitura glicine e ottone. Desalto si lascia trascinare da un bellissimo Blue Klein, ovvero tutto lo spazio in fiera recita lo slogan “Blue Chapter” con pezzi, quasi tutti, che sono di questo magico colore, ma novità vere non ne intravedo. Merita di essere segnalato, un pregevole stand in legno, a ricordare gli imballi, ma al contempo architetture classiche in chiave attuale, quello disegnato da Gianni Filindeu per Et-Al, brand marchigiano, che dichiara, come ormai tutti i marchi pongano attenzione alla sostenibilità, ma la strada è lunga, e temo non siamo nemmeno all’inizio da tutto quello che ho visto e intravisto.
Molto più interessante e stimolante la visita all’Euroluce, che per tecnologia e sostenibilità è più avanti del mobile, cui pure appartiene come categoria, in cui Vibia, soprattutto, e poi le italiane Flos e Davide Groppi propongono alcuni pezzi davvero interessanti. Euroluce 2023 propone fonti luminose potenti ma sostenibili, illuminazioni flessibili e capaci di adattarsi a luoghi e situazioni multiple, esprimendo la capacità della ricerca tecnologica che riesce a plasmare la luce, “la disegna piegandola ai bisogni e le necessità degli ambienti domestici e di lavoro”. La gamma dei catalani di Vibia è davvero ricca, dalla luce per outdoor pensata come integrazione degli spazi aperti tra verde e arredo, molto bella la nuova “Out”, alle nuove lampade da terra, ad una bellissima sospensione conica a più altezze, fino alle piccole luci da tavolo, quasi come dei bonsai tecnologici che si chiama non a caso “Africa”, originale e accattivante anche lo spazio in fiera di Vibia. Flos, tra classico e tecnologico prosegue la sua traiettoria, e sorprende con un nuovo modello “Ceramique”, disegnata da Ronan Bouroullec, una lampada in ceramica colorata, lampada-oggetto pregevole per la sua matericità e la superfice preziosa, interessante anche la collezione “Black Flag”, nome preso in prestito dalla famosa band punk rock, lampada che incarna lo spirito ribelle con una forma artistica minimale che si estende in un apparecchio audace e altamente funzionale.
La prima sera, fuori fiera, con un passaggio da Moroso, che propone i gioielli, ultimi arrivati e davvero molto originali (ma non nuovissimi), ovvero i Pebble Rubble, firmati dalle designer svedesi Sofia Lagerkvist e Anna Lindgren, di Front Design, che a differenza della prima edizione, in cui erano fatti con tessuti materici e di “bosco”, seguono esprimendo un’esperienza sensoriale, ma sono già diventati “pezzi da abitare”, anche se l’idea delle due designer era di installazioni tra arte e design per le nostre case. Nessuna tracia di un annunciato allestimento dello spazio da parte della brava Urquiola, o forse era talmente discreto da essere invisibile, ovvero, anche qui, niente di nuovo all’orizzonte! In giro, atmosfera frizzante, energia ritrovata, ottimismo e spirito di sfida di tanti giovani, soprattutto, che si propongono nelle forme più varie e imprevedibili, i palazzi della città nelle vie del centro si aprono, offrono i “gioielli” di una Milano alto borghese, e in questo vagare mi colpisce il bellissimo, romantico, rugoso edificio della ex Cassa di Risparmio di Muzio e Greppi, dietro alla Scala, nel dedalo di Brera, una imponente architettura tra classicismo e modernità milanese che ha la forza di essere un vero pezzo di città, come raramente capita a questo genere di edifici.
“Artemest” si ripropone in una dimora milanese, nelle 5 Vie, ed è innegabile il fascino di una casa che ospita oggetti, arredi, opere di designer, artisti, artigiani, tra i quali Pietro Spoto e i suoi espressivi “dischi” metallici acidati, “Eterotopia Variazione C7”, Gabriele D’Angelo e le sue rivisitate e iconiche collezioni arabe-siciliane-normanne, e il progetto “on∙entropy” a cura di Maria Cristina Didero, A Future for the Past, che ha ricostruito, in una stanza a piano terra, con una installazione site specific, l’atmosfera degli artigiani che lavorano i marmi della penisola, tra suoni, profumi, sguardi, un omaggio alla preziosa eredità del marmo di Tinos e all’evoluzione dell’artigianato tipico di quest’isola greca.
Elle Decor Italia, riapre palazzo Palazzo Bovara, dove, stanza per stanza, racconta il ruolo fondamentale della luce nello spazio domestico tra poesia e tecnologica, accende un abitare morbido, avvolgente, in cui la luce “accarezza le forme di oggetti e arredi, influisce sul nostro umore”. Usando un linguaggio emozionale e un’esperienza immersiva, la relazione virtuosa tra lighting design e interiors, l’allestimento, firmato da Giuliano Andrea dell’Uva Architetti, dallo studio Metis Lighting e dal paesaggista Antonio Perazzi, nel giardino, restituisce una suggestiva idea di spazio di vita tra arte e arredamento in spazi ancora oggi magnifici per l’intatta bellezza classica. Poco accanto, nel cortile porticato di Palazzo Serbelloni, la Maison Louis Vuitton apre al pubblico il suo Nomadic Pavilion progettato in forma originale da Marc Fornes. Una strana, metallica, “navicella spaziale”, un guscio avvolgente di forme morbide, che apre “occhi” sul cielo di Milano, sul cortile del palazzo, sulla dimensione fluida dello spazio tra arte e design e accoglie i visitatori in una sorta di “ventre” tecnologico.
Infine, la sorprendente, magica, scenografica installazione di Starck per Dior, ovvero per la seduta Miss Dior, a Palazzo Citterio, sintesi tra savoir-faire e artigianato più avanzato, insieme all’ingegneria industriale. Starck ha messo a punto la struttura della seduta, esaltando gli elementi più iconici, con fantasie dei tessuti, in rosa e bianco o in arancione fluo: tutto nella magica danza di sedute con sceniche immagini rotanti, in uno spazio immerso nel buio e scandito dalla musica che fa muovere, ballare, fluttuare le sedute. Un passaggio veloce da Cassina, in Via Durini, che presenta la vera novità negli interni di un bellissimo bolide realizzato in collaborazione con Lancia, e poco più avanti le vetrine di B&B che giocano sulla grafica esplosa dei nuovi disegni, dei tessuti e le rivisitazioni di pezzi classici della collezione.
Infine, meritava senza dubbio una visita, fuori Milano, a Piacenza, nel bellissimo spazio Volumnia, la mostra “Franco Albini, Metodo e poesia”, dedicata a questo straordinario, elegante maestro dell’architettura e del design italiani, ma non ho avuto tempo di vederla. E’ una prossima tappa nella mia agenda dei luoghi da visitare, anche per la location di eccezione della Galleria Volumnia, situata su Stradone Farnese, dentro una antica chiesa sconsacrata del Seicento, per vedere una mostra in cui ritrovare l’evidenza di una via italiana tra poetica e costruzione, che caratterizza l’approccio di Albini nelle architetture come nei progetti di design, come di molti altri maestri della sua generazione. Un tema a me molto caro e che mi farà dimenticare l’ubriacatura del Salone.