Territori e competizione: quando talento fa rima con Salento

Musica: Tamino, Fascination

“L’immenso piano della campagna, leggermente ondulata, il mare così maestoso, il cielo così infinito e sereno costituiscono una trinità grandiosa e singolare” (1)

Lo scopo di questo viaggio era davvero complesso questa volta e dopo il profondo nord, mi è sembrato necessario tornare a sfidarmi di nuovo al sud per il sud, dove vivo per buona parte dell’anno.

La destinazione è Lecce, una città e un territorio che ricorrono nella mia vita con assoluta, in parte incomprensibile, periodica frequenza: la mia destinazione da giovane militare, appena laureato con l’ardente desiderio di fare l’architetto e sottrarsi alle gerarchie militari, in seguito sentimenti e amori, culture, architetture, insomma obbligati passaggi nel Levante salentino in terre dove trovi e ritrovi parti delle tue diverse, complesse esistenze. Niente bicicletta in questo caso, perché il caldo è proibitivo, le scarpe, che non passano affatto inosservate anche qui, questa volta sono fuxia, sempre fluorescenti, un omaggio alle tonalità abbacinanti di queste latitudini grecaniche, dove la luce è terapeutica, come più su a Ostuni, e molto più a sud a Ortigia, Marsala. Parto da Cosenza, un territorio quello calabrese in cui le città, i centri urbani, piccoli e medio grandi, sono preda di un costante, inarrestabile declino, fuga di giovani, e dove l’elevato degrado ti colpisce come una sciabolata imprevista quando vedi rifiuti ovunque, clacson furiosi, automobili in soprannumero e in sosta selvaggia, al punto da chiedersi quando questi luoghi potranno fare leva sui tesori naturalistici, d’arte, di cibo e natura, ovvero sulle risorse presenti, ma non comprese e valorizzate. Lungo il percorso attraverso la splendida Piana di Sibari, che fa fatica ad accettare di essere stata sul sedime dell’antica città magnogreca, culla di civiltà in cui si è coltivato bellezza, stile, gusto, eleganza: ai bordi delle strade la presenza di neri, scuri sacchi di plastica abbandonati è inquietante e contrasta con il vicino blu di quel mare dove sono approdati gli Dei, così come con il verde della natura ancora arcaica, che tenta di resistere come può agli attacchi frequenti della distruzione della civiltà dell’iperconsumo. Più avanti Policoro, cerniera tra Calabria, Basilicata e Puglia, poi più distanziati i magnifici templi di Metaponto, i cui abitanti furono i primi nemici degli antichi Sibariti e ne minarono parte delle bellezze con una guerra feroce. Più avanti, Grottaglie chiusa nel suo agglomerato moderno di palazzoni e condomini anonimi, che nascondono il candore tipico dei luoghi originari. E si arriva a Taranto, ovvero come sulla luna, con un paesaggio così fortemente segnato dalla presenza estesa dell’ex Italsider, che viene da chiedersi quale folle disegno politico abbia potuto vedere lo sviluppo in questo flagello di Dio, intorno al quale ancora oggi si accaniscono a tenere in piedi questo esteso, vasto bubbone malato della modernità distorta. Verso Brindisi, all’inizio della città incrocio il Palazzo di Giustizia, una datata, ma interessante opera di Sergio Lenci, mio professore di Composizione 1 nella Scuola di Architettura di Roma degli anni Ottanta, ridotto oggi in condizioni pietose e mi dico che se questo è il segno tangibile (tanto!) della presenza pubblica dello Stato a sud, capisco, ma non giustifico, innumerevoli autarchie dei meridionali. Tutta la città è accerchiata da una edilizia intensiva che estende la propria presenza oltre ogni limite e confine, sottraendo campagne ed erodendo paesaggi, dunque identità a questi luoghi. La periferia di Brindisi ricorda ancora una volta quella di infinite altre realtà urbane figlie di questa relazione interrotta con la bellezza e con il decoro ormai da troppi anni, al punto che ne abbiamo smarrito la vera fisionomia e ci siamo assuefatti a questa iconografia di povertà urbanistica e decadenza estetica.

Albert Camus, ne “La peste”, descrive Orano come città mercantile senza alberi, senza giardini, senza uccelli, in cui la primavera si avverte solo perché al mercato si vendono i fiori arrivati da fuori, questo racconto, letto da ragazzo, e che mi turbò non poco, mi viene in mente quando mi accorgo che nemmeno la Puglia, quasi Felix, è esente dall’invasione dei segni dell’iperconsumo moderno, ovvero, ai bordi delle sue varie arterie, il pullulare dei neri sacchi della peste moderna camusiana. Il romanzo, come narrazione delle nostre vite ancora una volta anticipa visioni e mondi reali, che intrecciano e descrivono le malattie naturali come, per esempio, il flagello della Xylella le cui vittime spente, intravedo nei rami di quelli che erano ulivi, come fossero braccia levate al cielo nel paesaggio salentino. Quando ci avviciniamo a Lecce, ricomincio a riprendere confidenza con una certa bellezza, anche attraverso un profilo sobrio e ordinato della città nel suo territorio. L’autobus si ferma in Piazza Carmelo Bene, nato nella vicina Campi Salentina, e trovo intelligente dedicare ad uno scomodissimo, geniale cittadino, una piazza! Ai bordi di questo grande spazio urbano intravedo alcune interessanti architetture delle quali scoprirò esserne autore un leccese, maturo progettista, l’architetto Barletti, che segnano da subito un confine urbano riconoscibile, civile, originale.

Lecce è una città che ha avuto la fortuna di avere una presenza costante del progetto, nel corso dei secoli, probabilmente dalla sua fondazione in poi, fino a quella stagione che oggi la connota meglio delle altre, ovvero quella del Barocco, di cui scrive meglio di chiunque altro Cesare Brandi (2). Egli la definisce “Lecce gentile” e, secondo una intuizione di Ferdinand Gregorovius, “la Firenze del Barocco”, patria di un barocchetto, prosegue Brandi, che la fa simile a una città spagnola, dove “la civiltà architettonica che si sviluppa ai margini del gusto ufficiale, e per più di un secolo prosegue, accettando suggerimenti e motivi, ma posti in una inconfondibile fusione con il gusto locale.”

La scena barocca leccese ripropone nelle sue forme minori, periferiche, ma non meno importanti, un percorso figurativo e spaziale che richiama un linguaggio rintracciabile anche nelle esperienze siciliane da Siracusa fino a Modica e Ragusa. Soprattutto negli scorci notturni, in cui una fantasmagoria di figure anima la suggestiva spazialità barocca, la sensazione di trovarsi in più luoghi della storia seicentesca mediterranea, che arriva fino a Malta, è significativamente pregnante. In questa città si coglie, dopo la stagione decorativa del barocco, con un salto di oltre duecento anni, un disegno urbanistico recente della prima modernità razionalista con presenze interessanti e architetture originali in un tessuto urbano che, pur collocandosi geograficamente fuori dai circuiti principali, è partecipe in forme significative negli anni cruciali del dibattito sulla nuova architettura nazionale. Questo avviene attraverso la presenza di architetti leccesi e nazionali, i quali reinterpretano il linguaggio razionalista con l’uso sensibile delle pietre locali e una originale adesione ai temi del rapporto tra progetto e contesto (3).

L’effetto di queste presenze riverbera anche in realtà minori vicine del Salento, e a Lecce, a differenza di altre città simili, se ne coglie ancora oggi il valore ed il significato civile ed estetico, nonché l’importante ruolo urbanistico di raccordo tra memoria e modernità che ha reso possibile una continuità formale e di diffusa qualità tra città storica e moderna, fino alle sue recenti, contemporanee espansioni. Prima di rientrare decido di visitare il Museo Castromediano, per due ragioni, la prima seguire nella ricerca sulle matrici magnogreche, iapige, messapiche, bizantine che legano in modo indissolubile arte, artigianato, design ante litteram a sud. La seconda ragione risiede nel fatto che il progetto, di questo originale, piccolo Guggheneim di provincia, è opera di un altro mio Maestro, Franco Minissi, docente di restauro a Roma, che qui ha lavorato, oltre questo innesto moderno del museo, ad altre interessanti opere.

Insieme alla collezione di reperti, paesaggi di terra e di mare, agli oggetti evocativi del passato, una serie di stampe di Eduard Burtynsky, il grande fotografo che da sempre usa i suoi scatti contro le devastazioni ambientali, raccontano proprio il flagello della Xylella: 12 fotografie di formato gigante e un video, dislocati nei percorsi dello spazio museale, tra storie e memorie di un passato di meraviglie, documentando il disastro ecologico di questo ennesimo omicidio (oltre venti milioni di alberi morti) ai danni della natura.

Nel prossimo, secondo volume di “disegnoallitaliana” in preparazione per la stampa, Lecce e il Salento avranno uno spazio significativo per queste, appena espresse, ed altre significative ragioni, incluso il racconto di una stagione urbanistica e architettonica, in cui sono centrali i progetti per la qualità urbana, lo spazio pubblico, il recupero e la rigenerazione di spazi della città storica e attuale. Intorno a due PUG (Piano Urbanistico Generale), il primo sotto la supervisione del mio amico e collega Mosè Ricci, reso noto dallo slogan “Sine putimu”, il secondo con nuovi studi del Polimi per la città, con la supervisione dei colleghi Curci e Lanzani e del responsabile dell’Ufficio comunale di Piano, Maurizio Guido, profilano una originale visione di Lecce nel suo contesto per i prossimi anni. Queste terre pugliesi, Lecce inclusa, godono dell’indiscusso vantaggio di aver avuto una felice stagione amministrativa sotto la guida di Niky Vendola, che ha saputo scuotere le coscienze dei pugliesi, facendone, seppur tra luci e ombre lunghe meridionali, una regione del sud avanzata e prolifica.

Una interessante conversazione con amici, architetti locali, tra cui Ester Annunziata e Alfredo Foresta, insieme ad altri progettisti, attivi nel contesto cittadino e salentino, mi conferma la vivacità della produzione architettonica leccese, la presenza di un diffuso talento creativo che spazia dalla grafica, al design, alla buona comunicazione visuale, fino a raffinati esercizi di interior design in “salsa salentina”. Sono diversi i protagonisti, con alcuni nomi nazionali eccellenti, tra i tanti, Palomba Serafini, Giuliano dell’Uva, autore con altri degli interni del magnifico Palazzo Luce, Marta Laudani che disegna per aziende locali come Barba, Da_a, e nomi leccesi come la designer Stefania Galante che collabora allo sviluppo di progetti di outdoor per Sprech virtuosa azienda di Martano promotrice di Agorà design festival. Pimar e le pietre locali che si fanno oggetti, arredi, superfici, le borse originalissime di Le DAF, le “scarpedeidesideri”, le performance di Kunstshau, l’attivissimo studio Archistart, Vincenzo Guarini di Istmo Architecture, le raffinate ricerche di Tondadesign, i citati architetti di Gruppo Foresta.

“Una ricerca continua tra territorio e innovazione” è quella di FMA studio fatta di alcuni pregevoli restauri, riqualificazioni, interni e architetture industriali, le masserie recuperate sono parte del network di progettisti dello studio Valari e, nei dintorni, nella vicina Gagliano del Capo si apprezza la ricerca grafica delle Officine Amaro, a Ruffano i preziosi oggetti neo-grecanici di Kiasmo, infine a sostegno delle attività dei progettisti si colloca la ricerca di arredi di interni di Bauhaus Lecce, gli accessori di Society.

Una citazione a parte merita lo spazio espositivo, collezione privata di arte contemporanea della Fondazione Biscozzi | Rimbaud, coraggioso esperimento della coppia di collezionisti che da il nome allo spazio, finemente recuperato in un piccolo palazzo della città storica, in piazzetta Baglivi, ad opera degli architetti Fabrizio e Marco Arrigoni.

Insomma, ecco perché talento fa rima con Salento, per la ragione che qui un fertile terreno di presenze esterne, mescolato con le sensibili professionalità locali, non solo ha fatto si che siano tornati e rimasti giovani e professionisti, ma, insieme ad una forte richiesta del mercato turistico-immobiliare, ha spinto al punto che prendesse vita un processo di rigenerazione urbana, sociale ed economica, che nel sud forse non ha eguali e che merita di essere raccontato e divulgato nelle forme più ampie possibili, per la parte che avvicina questi contesti alla qualità. E non manca certo la vivacità della cucina, che nella cultura del pasticciotto, oggetto anche di un originale esperimento di design e reinvenzione proprio del citato collettivo Archistart, trova una sorta di apoteosi tra gusto ed estetica, identità locali e ormai internazionali per le innumerevoli repliche, oltre Salento che, ci auguriamo possano superare, nel classico pasto della prima colazione, il già più diffuso cornetto!

Il pasticciotto!

Possiamo affermare, a proposito di competizione territoriale, in una fantasiosa simulata sfida tra pasticciotto Lecce/Puglia, bucconotto, Calabria, cannolo, Sicilia, aggiungerei senza dubbio sua maestà il babà, Campania, che per ora i pugliesi sono molto più avanti dei vicini. Dunque, il pasticciotto sta alla buona architettura e buon design come per nessuno dei competitor sembra stia avvenendo. La mia terra, soprattutto, deve reinventare coraggiosamente il bucconotto per tentare, almeno, di stare al passo con Puglia, Campania, Sicilia. Infine, una mia nota particolare, in tempi di cambio del clima sempre più rovente, riguarda la riscoperta di un manufatto architettonico particolare, meno noto del trullo, ma con medesime matrici costruttive: la “pajara”, ovvero il pagliaio, rifugio da sole, pioggia, freddo, per contadini e pastori, in aperta campagna, costruito con pietra a secco, le cui caratteristiche bioclimatiche ne fanno oggi un insuperato modello di ciò che dovremmo tornare ad osservare e applicare nei più sani principi del costruire ecologico/circolare.

Un progetto al quale attendo con CirculHub, il Centro ricerche di cui ho la responsabilità scientifica, diretto da Elda Greco, che ha per titolo “CirculHubitare”, che tende a dimostrare, attraverso la collaborazione con aziende, altri centri di ricerca, produttori, progettisti che è possibile superare le certificazioni standard e puntare alla qualità del design e del costruito in forme non standardizzate, e che tutto questo si può fare anche a Sud, soprattutto recuperando l’immensa tradizione costruttiva che ha secoli di esperienza e sperimentazioni e, ancora una volta, il talento!

Note, 1, Paul Shubring, viaggiatore tedesco degli inizi del 1900, di passaggio in Puglia; 2, Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia, Giunti, 2003; 3, Andrea Mantovano, Razionalismo a Lecce. Arte e progetto 1930-1955. Ediz. Illustrata, Lupo editore, 2014.

Sitografia sigle e studi, citati nell’articolo; https://sprech.com, https://www.pimarlimestone.com, https://www.dafdesign.it/, https://www.instagram.com/lescarpedeidesideri/,https://www.kunstschau.it/, https://www.archistartstudio.it/, https://www.istmo-architecture.it/studio.html, https://www.tondadesign.it/, https://www.officineamaro.it/, https://www.fmastudio.eu/studio/, https://www.valari.eu/, https://www.kiasmo.it/, https://www.bauhauslecce.it/, https://www.fondazionebiscozzirimbaud.it/it/, https://www.gruppoforesta.com/chi-siamo/, https://www.societylimonta.com/pages/society-limonta-epiphany

Previous Story

Il Laboratorio del Futuro riparte da un giardino

Next Story

L’arte, il paesaggio, l’abitare: lezioni salentine